Respiro.
Anche se tutto sembra uguale, forse qualcosa è cambiato.
Respiro ancora.
Profondamente.
Inspirando faccio entrare tanta aria nei polmoni e poi espirando ne
faccio uscire altrettanta.
Mi gira un po’ la testa, ma non è un male, perché rimango con i piedi
per terra.
Squilla il telefono e non rispondo.
Nessun senso del dovere mi fa scattare a dire “Pronto!”, perché non
sono pronta e non voglio esserlo più.
Giro gli occhi verso degli appunti presi un mese fa e non mi dicono
più nulla, come se quelle cose le avesse scritte qualcun altro in una lingua
straniera. Mi appaiono simili a bizzarri geroglifici disegnati su un foglio
bianco stropicciato.
Chi ne avrà voglia continuerà a stare in prima linea, ma non io. Io preferisco stare
nelle retrovie a guardare il tramonto, a seguire con lo sguardo una farfalla
colorata, ad ascoltare il silenzio.
Non voglio più sentire la mia
voce che parla e non sa nemmeno di cosa, che esce dalla gola e rimbomba acuta
nella stanza andando poi a morire sotto i piedi.
Non sono ancora completamente leggera.
Qualche altra zavorra va lasciata andare.
Si fa strada in me una strana e piacevole sensazione di svuotamento.
E’ ormai tempo di riempirlo quel vuoto.
Finalmente.
Respiro.
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